Inside dei Playdead - Recensione

Inside - il malessere trascende dal mondo esterno e prende corpo, diventa inquietudine e dolore interno 



Arnt Jensen e Dino Patti ci consegnano un’esperienza forte, che come in Limbo lascia molto spazio all’interpretazione. Ci buttano nel crudo e violento contesto, senza alcuna introduzione, e senza darci spiegazioni. Non ci sono dialoghi, sottotitoli, cut-scenes o HUD; abbiamo solo pochi comandi.
Di nuovo sarà importante tenere gli occhi aperti, e sfruttare l’intuizione perché il viaggio in cui ci apprestiamo a imbarcarci è molto criptico.


Sequel spirituale di Limbo, gioca su mescolanza tra forma e contenuti

Storia: in un bosco manovriamo uno spaventato ragazzino, braccato da qualcuno, anche se nella scura e tempestosa location spicca solo la sua rossa maglietta. Sulle sue tracce ci sono unità cinofile e guardie armate, ma quando il nemico è ormai prossimo si palesa dinanzi a noi uno strano complesso industriale: forse possiamo nasconderci, o forse è la risposta alle innumerevoli domande che ci attanagliano. Magari siamo qui per cercare qualcosa?
C’imbattiamo però in un contesto macabro, angosciante, disumanizzato: cadaveri rianimati, macchine aliene, strutture sommerse, ingegneria futuristica, e creature catatoniche. Perché tutti si comportano in modo strano?
Al momento è più importante restare vivi. Dobbiamo provare a passare inosservati, quindi mettiamo in essere anche noi delle movenze meccanizzate. E, forse, riusciremo a cavarcela e tornare a…

Stile grafico ricercato - LucullusGames

La malsana distopia impegna un ragazzino, ora, più grandicello


Gameplay: si basa sull’interazione con l’ambiente (scatole da spostare, corde da tirare, pulsanti da pigiare), e con le creature lobotomizzate (per aprire nuovi varchi o smuovere oggetti decisamente gravosi). Gli scenari offrono la risposta anche agli scontri, che vanno impostati in maniera indiretta, sfruttando ostacoli e strutture. L’incedere punta molto sul concetto di spola: bisogna infatti andare spesso avanti e indietro per aggirare i pericoli.
La meccanica regina è quella del trial and error: si prova, si muore, si riflette sull'accaduto, si ritenta, e infine si trova il bandolo della matassa. I comandi sono di una facilità disarmante, ci sono solo 2 tasti (salto e azione) e lo stick direzionale necessario a muovere il ragazzino. Quest'ultimo stavolta (rispetto al protagonista di Limbo) è capace anche di: nuotare, manovrare alcuni mezzi (come il sottomarino) e strumenti di controllo mentale (come un particolare caschetto). Tra i nemici (ve ne svelo solo un paio, per non rovinarvi la sorpresa) ci sono: esseri sensibili alla luce, cani feroci nonché più veloci del nostro protagonista e guardie di pattuglia. Non preoccupatevi, i checkpoint sono comunque generosi, e i caricamenti sono veloci.

IA: i rompicapi - spesso ispirati - sono semplici ma non banali o astrusi. Difficilmente ci si ritrova ad essere bloccati per troppo tempo su un unico punto. Gli enigmi si basano anche sulla fisica, oltre che sull’interazione. Ho notato però che generalmente le aree opzionali sono più stimolanti, probabilmente sono pensate per i giocatori in cerca di una sfida più creativa.

Inside dei Playdead - Recensione


Spunto critico: l’arte incontra il videogame?
E’ indubbio che in Inside il linguaggio visivo abbia un ruolo fondamentale nel veicolare il messaggio, inoltre il ritmo dei suoni svolge una parte essenziale nella comprensione dell'esperienza. Ma possiamo davvero considerarlo arte?
Playdead costruisce il background narrativo non in maniera canonica, non attraverso un plot da ascoltare o subire tramite video; preferisce invece toccare l’animo del giocatore mediante le immagini e i simboli. Spesso quando la narrativa è volutamente intricata, o criptica, è facile cadere in commenti eccessivi: si tende a esaltare o a criticare le vicende, è successo anche con la metanarrativa di Bioshock Infinite. Ognuno, quindi, cerca di dare delle spiegazioni, molte delle quali risultano decisamente affascinanti. Spesso sono anche più elaborate di quelle pensate dall’autore stesso, ma a volte risultano del tutto prive di riscontro.
Io non tenterò di darvi una spiegazione, non mi dilungherò su quanto forti siano state le mie emozioni, ma voglio soffermarmi su alcuni particolari: la scala di grigi dona profondità ad una struttura povera di colori, lo stile grafico minimalista riesce a catturare per indeterminatezza (i volti ad esempio non sono volutamente mai ben delineati), la direzione della telecamera stringe e allarga l’inquadratura per far apprezzare i dettagli e simulare un senso di claustrofobia.
Questo titolo forse non lo considererete tutti un’opera d’arte ma ha un grande potere immaginifico, ed è capace di tenervi incollati e muovere corde che normalmente non sono solleticate. Non è forse questo l’intento, e il ruolo, dell’arte?

Longevità: la main quest richiede appena 3 ore, se non vi bloccherete con qualche puzzle; conteggiate anche un paio d’ore in più se vi dedicherete alle diverse zone segrete presenti. La rigiocabilità potrebbe stuzzicarvi forse con i collezionabili, e col finale alternativo che altrimenti potete vedere QUI.



Comparto grafico: lo stile è ancora una volta minimalista. Il tratto di matita è estremamente pulito e squadrato, ma individua una precisa e ricercata scelta di quali oggetti mettere a schermo.
Il mondo di gioco è dotato di una personalità peculiare. Si tratta di un ambiente sinistramente ostile e ipnotizzante allo stesso tempo. L’armonia di colori spenti è rotta - intelligentemente - da poche pennellate accese (come quella della maglia del protagonista). Affrontiamo diverse location, caratterizzate da specifiche interazioni; scopriremo, tra le altre: foreste, uffici, fabbriche, fattorie, zone subacquee e spiagge.

Comparto tecnico: le animazioni del protagonista sono credibili. Colpiscono soprattutto quelle relative alla modalità di morte: l’accartocciamento delle ossa dopo una caduta, l’impotenza degli arti violati dai morsi delle fameliche creature, la frenesia dell’asfissia che precede l’annegamento, e così via.
Gli sviluppatori sanno giocare con le forme: staticità e dinamismo si alternano di continuo con ambiente e personaggi. La flora mossa dal vento, le bollicine d’aria, e le onde: c’è ancora vita da salvare.
Gli effetti particellari per polveri e fumo sono ottimi; le fonti di luce giocano col chiaroscuro, ma stavolta si punta maggiormente sulla scala dei grigi, più che col bianco e nero: i Playdead sono maturati. Sottolineo inoltre la quasi assenza di magagne tecniche: niente tearing, nessun glitch, frame-rate stabile, e texture mai caricate in ritardo. E' presente giusto un pò di aliasing.

Comparto audio: Martin Stig Andersen dirige ancora il mix di silenzi e di suoni (prettamente ambientali); il peso degli oggetti durante le collisioni, con le diverse superfici, ha una risposta sonora peculiare. Le emozioni si vivono anche attraverso la precisa, e mai casuale campionatura: fruscii, cigolii, urli, litanie meccaniche. Inside ha la capacità di far stare col fiato sospeso. Senza dimenticare che alcuni enigmi vanno a braccetto col sottofondo, dove il ritmo gioca con l’esecuzione di particolari azioni.

Titolo: Inside
Genere: Puzzle-Platform
Sviluppatore e Editore: Playdead
Data di rilascio su pc: 7 luglio 2016

Commento finale: ho speso molte parole, qualcuno potrebbe obiettare che questo sia un gioco che andrebbe solo giocato. Ma io non sono d’accordo. Il ruolo di chi ha voglia di recensire è anche quello di tentare di raccontare perché questo gioco vada giocato. Ho preferito analizzare Inside andando in profondità, così come ho fatto con le altre recensioni, e sono contento che proprio questa sia la mia 200-esima sul blog. Buon divertimento.

Pro:

  • Stile grafico
  • Capacità di raccontare senza l'uso delle parole
  • Ritmo
  • Interazione


Contro: 

  • Il Trial and error potrebbe non piacere a tutti


Voto 9,2


Fonte immagini: Google